Veganismo e libertà di alimentazione

Chi si definisce vegano ritiene moralmente sbagliato procurare sofferenza ingiustificata agli animali e, più in generale, utilizzarli per trarne beneficio a loro danno. Recentemente si è tuttavia sostenuta l’idea che la rivendicazione vegana sia da assimilare alla posizione di chi intende vietare determinati cibi e porre limiti rigidi a quella che è stata definita come “libertà di alimentazione”. Si tratta di un modo tendenzioso di porre la questione e che non coglie (o più probabilmente travisa coscientemente) il senso del discorso vegano.

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Libertà di alimentazione

È stato il giornalista Camillo Langone a rivendicare e difendere, contro il veganesimo e in nome della libertà, il diritto di ciascuno di nutrirsi come gli pare. L’idea, che naturalmente fa eccezione per quanto riguarda il cannibalismo, è centrata sul presupposto che l’etica vegana sia una posizione contro la libertà di alimentazione. E sul conseguente rigetto di un tale antiliberalismo inquisitoriale.

Per essenza e per accidente

Non è così. Chi si richiama alla tradizione cristiana dovrebbe conoscere un po’ di filosofia scolastica o comunque avere presente la differenza fra ciò che è “per accidente” e ciò che, invece, è “per essenza”. Ed è solo per accidente che l’etica vegana ha conseguenze sulla cosiddetta libertà di alimentazione. La posizione è infatti, in termini generali, una posizione essenzialmente contro l’uccisione e lo sfruttamento indiscriminato di altri esseri senzienti da parte dell’uomo. Essa non ha quindi nessuna pregiudiziale contro la libertà di alimentazione in quanto tale.

La posizione del veganesimo

La posizione del veganesimo potrebbe essere sintetizzata così: ognuno può mangiare ciò che vuole, a patto che tale libertà, come ogni libertà, sia confinata entro i limiti di ciò che è considerato legale. Che, infine, sia da considerare censurabile il procurare direttamente la sofferenza ingiustificata di altri esseri senzienti. Questa posizione è essenzialmente diversa dalla versione semplificata di Langone, la quale si riduce a un laconico “non si può mangiare carne”.

Il ruolo della legge

Una eventuale legge non dovrebbe infatti decidere su ciò che è permesso o meno mangiare, ma stabilire per esempio delle limitazioni circa i metodi di produzione degli alimenti. Il che fa assumere alla questione un campo di diritto che le è chiaramente più proprio rispetto alla fantasie di Langone circa la libertà di espressione, l’indice dei libri proibiti, o la libera espressione artistica. È pur vero, come scrive il giornalista, che “la gola è materia di confessione e non di legislazione”. Solo che appunto nessuno qui sta parlando di peccati capitali.

Il foie gras

Per fare un esempio, non è giuridicamente molto interessante, né sensato, proibire ai soggetti l’assunzione di foie gras. Sarebbe in questo caso evidente l’erroneo riferimento diretto al campo delle libertà individuali. Sensato sarebbe invece stabilire una normativa che vieti determinati procedimenti di alimentazione e allevamento. Non si fraintenda. Non si tratta di una scusa per privare l’appassionato di foie gras della sua identità o del suo piacere. Si vuole precisamente ed esclusivamente vietare quei procedimenti per ragioni indipendenti. E il fatto che l’amante di fegato grasso non possa più nutrirsene con gioia è solo una conseguenza accidentale e, per così dire, non voluta. Amen.

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