La filosofia animalista. Due prospettive animaliste a confronto.

Fa parte della paideia di ogni buon vegano… Un po’ di filosofia animalista! Che però non è una disciplina monolitica e unitaria. Le filosofie che hanno a cuore i diritti degli animali sono diverse e a volte opposte. Vediamo le due figure principali del dibattito…

Singer Regan animalismo

Due grandi volti della filosofia animalista

Peter Singer

Uno dei maggiori esponenti del movimento animalista è senza dubbio il filosofo australiano Peter Singer. Il suo celebre Animal Liberation pubblicato nel 1975 inaugura la riflessione moderna sull’etica e i diritti animali. È a Singer infatti che va la paternità del celebre concetto di specismo: “un pregiudizio o un atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie.” Per il filosofo si tratta di un pregiudizio analogo, mutatis mutandis, al razzismo. Gli animali infatti soffrono e provano piacere in maniera analoga agli uomini. Pertanto non può essere loro negata a priori una considerazione morale. L’etica, nella visione di Singer, ha infatti come compito quello di aumentare la quantità di felicità e diminuire la sofferenza complessiva del sistema mondo.

Tom Regan

L’altro esponente di spicco del movimento è lo statunitense Tom Regan. L’autore, recentemente scomparso, scriveva nel 1983 The Case for Animal Rights, un testo in cui si rivendica la centralità del concetto di “diritti”. Secondo Regan l’idea di una massimizzazione complessiva della felicità è problematica. In questo modo gli esseri senzienti meritano considerazione morale solo in quanto contenitori intercambiabili di felicità e di desideri. Questo per Regan non è sufficiente. Non è importante sono il contenuto di felicità o di soddisfazione del soggetto. È importante anche il contenitore, il soggetto stesso. E questi “soggetti-di-una-vita” (così li chiama il filosofo) possiedono valore in sè, indipendentemente da qualsiasi altra condizione. Indipendentemente dalla qualità della loro vita o dalla preferenza, loro o di altri, a continuare a vivere. Che sia o meno fonte di piacere la vita è vita, e va rispettata in quanto tale. Con Regan torna alla ribalta una considerazione trascendentale, kantiana.

Bilancio

È possibile apprezzare la differenza tra le due prospettive filosofiche considerando come trarrebbero rispettivamente una medesima situazione. Poniamo che in un allevamento di beagle uno dei cuccioli sia nato in cattive condizioni di salute. Supponiamo che, con la nascita di questo cucciolo, la capienza dell’allevamento sia arrivata al limite. In una prospettiva singeriana non sarebbe del tutto insensato sopprimere (ovviamente in maniera indolore) l’animale in difficoltà per sostituirlo con uno in salute. Così facendo la quantità di soddisfazione e di felicità all’interno dell’allevamento aumenterebbe. Al contrario, per Regan, una volta che quella vita sia venuta alla luce si è in tal modo posto un valore indipendente da qualsiasi altra caratteristica di questa vita. Un valore cui corrispondono determinati diritti inalienabili: il diritto alla vita tra tutti. In altre parole il beagle, per Regan, non è un contenitore difettoso di felicità che va sostituito. Non va ucciso.

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