La cura heideggeriana e la sperimentazione animale

La cura heideggeriana è una categoria intrigante del pensiero filosofico occidentale. L’idea qui proposta è che tale categoria possa chiarire un punto centrale del dibattito sulla sperimentazione animale. Questo articolo prende spunto dalla bocciatura dell’iniziativa popolare che ha preso il nome di “stop vivisection“. E giunge a ripensare un concetto filosofico ontologico per la prima volta introdotto dal filosofo Martin Heidegger.

la cura heidegger

Il flop di Stop vivisection

Molti lettori ricorderanno l’iniziativa di Stop Vivisection. Più di un milione di cittadini europei hanno firmato una petizione per l’abolizione della pratica della sperimentazione animale a favore di metodi alternativi di ricerca, petizione che il parlamento europeo ha discusso e bocciato nel maggio del 2015. La motivazione addotta per questo stop alla proposta è stata che per combattere le malattie che colpiscono gli uomini, la sperimentazione sugli animali è un passo necessario. Niente esperimenti sugli animali, niente medicine.

La questione è stata posta nei termini di una salvaguardia del benessere e della salute. Con la conseguenza che molti si saranno sentiti toccati sul personale. L’istinto di sopravvivenza, ancor più se esteso alla prole e quindi corredato di quella forma di altruismo che lo legittima, è un motore formidabile delle azioni umane. E preoccuparsi per la propria salute è un’espressione tipica di quell’istinto.

Scarsi risultati

Ma occorre chiedersi se sia poi davvero così, se cioè tutta questa pre-occupazione per la salute lasci poi liberi di occuparsene davvero e non rischi invece di diventare solo una fonte di pre-giudizio. Sembra del resto che da un po’ di anni non si stiano facendo questi passi da gigante in campo medico. Secondo i dati riportati dal biochimico statunitense T. Colin Campbell nel suo celebre quanto discusso China Study, “il tasso di mortalità per cancro continua a peggiorare” e “malgrado trent’anni di finanziamenti alla ‘guerra contro il cancro’, i nostri progressi finora sono stati limitati.”

Pezzi di mondo: il corpo e la salute

Viene da chiedersi se, invece che preoccuparsi di difendere i diritti della ricerca nel campo della sperimentazione animale, non sarebbe meglio pensare a qualcos’altro per agire in modo efficace sulla salute dell’uomo, delle future generazioni e del pianeta. Occorre chiedersi, in altre parole, che cosa siano la cura.
E qui è necessario ricordare coma la salute sia una condizione strettamente dipendente dal rapporto di equilibrio che il corpo intrattiene col mondo circostante. Il corpo stesso non è che, per così dire, un “pezzo di mondo” concesso in prestito, del quale peraltro non disponiamo mai completamente.

Dire salute significa pertanto dire terra: ma una terra che non è abitata solamente da esseri umani. Pensare la terra significa anche prendere coscienza delle condizioni di vita concrete dei nostri fratelli animali, magari lanciando un’occhiata a quello che succede oggi nei macelli di tutto il mondo: qualcosa che non è solo una crudeltà perpetrata nei confronti di singole creature, ma è prima di tutto un’offesa alla vita stessa. I macelli e tutte le industrie agroalimentari che trattano prodotti di origine animale, sono in prima linea nel distruggere il pianeta. E le testimonianze sono numerose.

Testimonianze

Jonathan Safran Foer, per esempio, nel suo best seller “Se niente importa”, parla degli allevamenti intensivi di polli e osserva, molto pacatamente, che “stipare uccelli sovradimensionati, imbottiti di farmaci e deformi in una stanza lurida e incrostata di escrementi non è molto salubre” e che il 95% dei polli negli allevamenti è contaminato da Escherichia coli (un indicatore di contaminazione da feci), mentre “tra il 39 e il 75 per cento della carne di pollo che arriva sui banchi dei negozi ne è ancora infetta.”

C’è poi una recente pubblicazione disponibile online, il “Meat Atlas”, che sottolinea come ammassare una quantità sproporzionata di animali in un ambiente piccolo e chiuso costituisca un vero e proprio paradiso per microbi, batteri e virus. E l’utilizzo inevitabile di tonnellate di farmaci per tenere sotto controllo queste epidemie latenti fa poi sì che questo sostanze, molto banalmente, finiscano nei nostri piatti e nelle nostre pance. Non solo. La faccenda è che l’abuso di antibiotici seleziona batteri sempre più resistenti e pericolosi, nocivi anche per l’uomo.

La cura occidentale e la malattia

C’è forse qualcosa di stonato nel pensare che siano proprio i farmaci, il cui compito sarebbe quello di salvaguardare la vita in generale, a metterla invece in pericolo? Per quanto possa suonare paradossale è esattamente questa la musica del nostro tempo: ciò che si presenta come cura è, in realtà, la radice della malattia. Cerchiamo medicine per ogni cosa, ma senza sapere nulla del male di cui soffriamo realmente.

Crediamo di sapere che cosa sia una cura. Siamo irretiti in un’idea parziale, ereditata dalla scienza medica occidentale che concepisce la cura come un agire straordinario, che si attua solo in caso di necessità, e cioè nel momento in cui un equilibrio viene rotto. Ma questa cura, intesa come ristabilimento dell’equilibrio in cui consiste la salute, non ha nessun occhio di riguardo per il mantenimento di quello stesso equilibrio. Del resto lo si sa: all’industria farmaceutica non interessa la salute, interessa la malattia o, nel migliore dei casi, interessano tanto la salute quanto la malattia.

Ripensare la cura heideggeriana

La cura, quella che salva davvero, è invece radicalmente altro e nasce dal rispetto della vita tutta intera. Nasce insomma da un’esigenza in netta contraddizione con l’uso puramente strumentale della vita che la sperimentazione animale realizza. Curare significa sempre curare prima di tutto il mondo che ci circonda, molto prima che se stessi.

Solo a partire dal mondo si è infatti in grado di tornare davvero ad aver cura di sé, mai il contrario. Parafrasando le parole del filosofo Martin Heidegger, la cura non è un’azione tra le tante ma la struttura essenziale del nostro essere al mondo. Ogni azione umana, in altri termini, è una cura e ogni cura è prima di tutto un aver cura del mondo. Perché, come si suol dire, noi veniamo al mondo, stiamo al mondo, apparteniamo al mondo. Questo è il senso della cura heideggeriana e dell’esistenza umana: l’uomo è un essere-nel-mondo-come-cura.

Invece la medicina occidentale pretende di salvare l’uomo senza considerare la terra che lo circonda e così ha un bel da fare a tentare di guarire i sintomi di una malattia che non vede. Per questo la scienza medica è destinata a rimanere in scacco, almeno finché non verrà sorpresa dal dubbio che la sperimentazione animale sia la vera radice del male. Finché, in altre parole, non capirà che la cura dell’uomo parte dal mondo che lo circonda e dagli altri esseri che abitano quel mondo. E non può in nessun modo agire contro di essi. Pena la sua sconfitta: la sconfitta di tutti.

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