Efficienza vegana

Le discussioni su veganesimo ed etica animalista sono spesso delle risse imbarazzati. Qualche volta però, se c’è una seria disposizione al pensiero, si può anche parlare in modo fecondo. Per esempio, in un recente dibattito privato, è sorta, nella mente dell’autore, un’idea filosofica interessante: l’equazione dell’efficienza vegana. Si tratta di un articolo per chi ha un po’ di stomaco. Bisogna prepararsi a parlare di matematica e funzioni…
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Animalismo o ecologia?

Il tema è più o meno questo: se sia più saggio comprare del tofu che abbia fatto il giro del mondo o una fettina di carne che proviene da un allevamento a conduzione familiare a chilometri zero. Il dilemma è: animalismo o ecologia? Certo possiamo fare entrambe le cose. Ma la domanda, squisitamente intellettuale, suona così: qual’è la scelta più importante? Perché tanto zelo nel predicare l’importanza dello stile di vita vegan e non un corrispondente impegno nel diffondere, per esempio, la cultura del chilometro zero o del trasporto pubblico? Questa l’obiezione.

L’equazione dell’efficienza vegana

La risposta consiste del sottolineare come sia molto semplice e alla portata di tutti diventare vegani ora. E come, con questo minimo sforzo, si produca un vantaggio non trascurabile. Si tratta, forse, di una intuizione un po’ vaga. Ma che è possibile formalizzare tramite una funzione. Si metta, per esempio, al numeratore di una frazione il vantaggio che si ottiene attuando un determinato comportamento. Al denominatore si ponga invece lo sforzo che serve per mettere in atto quello stesso comportamento. In questo modo otteniamo un risultato. Si tratta (come mi è stato detto) dell’equazione dell’efficienza.

Quantificare il vantaggio: il numeratore

Molto bene. Molti (tra cui il sottoscritto) credono che il vantaggio che si ottiene col diventare vegani sia molto alto. Ma, per amor di discussione, si può anche trascurare questo dato. Poniamo anzi che tale vantaggio sia molto minore rispetto a quello di altre scelte: per esempio quella di rinunciare alla macchina in favore dei mezzi di trasporto. Quantifichiamo pure il vantaggio della scelta vegana come pari a 1 e quello del prendere i trasporti pubblici per andare a lavoro come pari a 45.

Quantificare lo sforzo: il denominatore

A questo punto bisogna quantificare lo sforzo richiesto rispettivamente nei due casi. E un buon modo per farlo è considerare il maggiore investimento di tempo che un dato comportamento implica. In altre parole la differenza di tempo che una scelta vantaggiosa richiede rispetto a una non vantaggiosa, costituisce il valore dello sforzo da mettere a denominatore.

Esempi

Esemplifichiamo. Andare a lavoro in macchina richiede, mettiamo, un percorso di 45 minuti. Utilizzare l’autobus invece richiede un’ora e mezza. La differenza in termini di tempo è di 45 minuti. E questo è il valore dello sforzo. D’altro canto, come si diceva, otteniamo un vantaggio dall’andare in autobus. Possiamo rilassarci e leggere qualcosa. In più risparmiamo alla terra l’inquinamento della nostra macchina. 45 minuti in più, insomma ma 15 punti di relax, 15 di lettura e 15 di mancato inquinamento. Per un totale di 45 punti. Ora mettiamo tutto nella frazione dell’efficienza e, mescolando bene, otteniamo: 45 (il vantaggio) su 45 (lo sforzo in termini di differenza di tempo). Risultato? Un’efficienza pari a 1.

Continuando l’esempio passiamo alla scelta vegana. E concediamo che il vantaggio di diventare vegani sia, come detto in precedenza, solo pari a 1. Ora consideriamo la differenza, in termini di tempo, che la scelta vegana implica rispetto a quella “onnivora”. Quanto tempo in più spreco a essere vegano piuttosto che “onnivoro”? Dunque: la preparazione di un piatto vegano non richiede più tempo di quella di un piatto non vegano. Né il cibo vegano richiede più tempo per essere mangiato. Essendo  quindi la differenza irrilevante, diventa possibile mettere al denominatore un numero tendente allo zero. A questo punto versiamo i valori sulla pentola dell’equazione: 1 (il vantaggio) su… 0 (lo sforzo in termini di tempo rispetto alla scelta alternativa).

Risultati

Il risultato? Tendente ad infinito. Ciò significa che, a fronte di un valore di efficienza pari a 1 per la scelta ecologica, abbiamo un valore tendente all’infinito per la scelta vegana. Voilà. Ecco perché insistere tanto per una dieta vegana. Perché, se anche il vantaggio fosse minimo, la fatica (calcolata in termini di tempo) rimane praticamente nulla. Con un conseguente valore di efficienza estremamente elevato.

Non solo tempo!

Certo non si può calcolare soltanto in termini di tempo la fatica implicita nel seguire un’alimentazione vegana. Potremmo (e dovremmo) calcolarla anche in termini di frustrazione che consegue alla rinuncia alla carne. Tuttavia il tempo è una misura particolarmente semplice e oggettiva. E comunque una di quelle da tenere in considerazione.

Comunque, questo conduce a un’ultima osservazione. Anche il sottoscritto crede che la frustrazione del carnivoro privato della fettina abbia un peso in termini psicologici che potrebbe anche essere quantificato e messo in equazione al denominatore a rappresentanza dello sforzo che la scelta implica. E per qualcuno, forse, potrebbe essere un numero così alto da abbattere il valore dell’efficienza.

L’importanza della cultura gastronomica

Qui allora entra in gioco la cucina. Qui diventa importante fare sì che la scelta vegana non implichi una tale “sofferenza”, rinuncia e frustrazione. Per questo la cultura gastronomica vegana deve svilupparsi e rendere la dieta vegana una scelta che non abbia costi in termini di frustrazione. Il cibo vegano deve diventare soddisfacente quanto quello “onnivoro”. Così avremmo abbattuto il valore della frustrazione, riportando vicino allo zero il denominatore della relativa equazione che mette il vantaggio in relazione non questa volta alla differenza in termini di tempo, ma alla differenza in termini di frustrazione psicologica. Insomma: più è piacevole la scelta vegana, meno la scelta è impegnativa. Meno è impegnativa e più è doverosa.

Ecologia e etica vegana

Certo tutto il discorso prevede una concessione teorica. Che vi sia un vantaggio, seppur minimo, dell’adottare uno stile di vita vegano. Il che non è proprio esatto. Era solo una finzione ipotetica. Perché la scelta vegana è ben più che vantaggiosa, ed è legata a stretto giro con quella ecologica. Perché un’autentico impegno in senso ecologico non può prescindere dall’adozione di uno stile di vita vegano. Perché, com’è noto, gli allevamenti sono in prima linea nel distruggere il pianeta. Perché gli antibiotici utilizzati per il bestiame sono un rischio enorme per la salute di tutti i viventi. Perché l’iper-fertilizzazione è devastante per le acque. Perché il vero ecologista, in parole povere, è il vegano. E viceversa. Perché in verità, facendo il verso a Wittgenstein, Das rätsel gibt es nicht (il dilemma non c’è).

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